In quanto medico, psicanalista, cifrematico, sin dalla metà degli anni '70, da quando, cioè, ho intrapreso l'itinerario e la formazione psicanalitici, l'esigenza di dare testimonianza delle acquisizioni che in essi avvenivano è risultata costitutiva. Consideravo essenziale integrare gli aspetti analitici e clinici dell'esperienza della parola originaria e della ricerca intorno alla scienza della parola, con quanto di altro accadeva nel pianeta quanto all'arte, alla cultura, alla scienza.
giovedì 26 marzo 2015
Il lieto fine
COMUNICAZIONE
domenica 22 marzo 2015
A proposito dell'inconscio...
L’inconscio non è un livello, non è un organo, non è un discorso, non è un programma, non è una scheda, non è un chip, non è un crittogramma, non è la faccia oscura della coscienza. Non è nemmeno il luogo dei ricordi. E nemmeno è un personaggio animato o da animare.
Farne un personaggio è stato e è un modo per rappresentarlo in uno standard. Per padroneggiarlo. O per farne il padrone da combattere. Non è un personaggio con una sua volontà.
Farne un personaggio per animarlo vuol dire attribuirgli un fine. Questa presunta intenzionalità dell’inconscio risponde all’esigenza del fine di bene che ha le sue origini nel mondo greco. E poi prosegue nel contesto cristiano.
L’inconscio non è l’altro nome di una spiritualità che tende al bene, né al male. Il finalismo, l’aspetto teleologico non ha a che vedere con l’inconscio, ma con la sua rappresentazione in una guida. Sarebbe l’inconscio come madre, l’inconscio materno, maternalistico.
Né è da ascrivere all’inconscio un carattere di universalità, cioè di essere un contenitore delle caratteristiche che possono costituire l’aspetto comune del genere umano. Non è l’altro nome della natura. Né è l’essenza che costituirebbe il fondamento dell’uomo e/o delle cose. Né ciò che si oppone al libero arbitrio. Tutto ciò è materia del discorso e del fantasma di padronanza.
Farne un personaggio è stato e è un modo per rappresentarlo in uno standard. Per padroneggiarlo. O per farne il padrone da combattere. Non è un personaggio con una sua volontà.
Farne un personaggio per animarlo vuol dire attribuirgli un fine. Questa presunta intenzionalità dell’inconscio risponde all’esigenza del fine di bene che ha le sue origini nel mondo greco. E poi prosegue nel contesto cristiano.
L’inconscio non è l’altro nome di una spiritualità che tende al bene, né al male. Il finalismo, l’aspetto teleologico non ha a che vedere con l’inconscio, ma con la sua rappresentazione in una guida. Sarebbe l’inconscio come madre, l’inconscio materno, maternalistico.
Né è da ascrivere all’inconscio un carattere di universalità, cioè di essere un contenitore delle caratteristiche che possono costituire l’aspetto comune del genere umano. Non è l’altro nome della natura. Né è l’essenza che costituirebbe il fondamento dell’uomo e/o delle cose. Né ciò che si oppone al libero arbitrio. Tutto ciò è materia del discorso e del fantasma di padronanza.
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